Rocchetta e Croce (CE), monastero di San Salvatore in Monte Maggiore

Il monastero di San Salvatore sorge sul versante meridionale del complesso di Monte Maggiore (che ancora nel 1833 era nominato dai locali come monte di San Salvatore, cfr. Penna, p. 343), su un picco roccioso scosceso, a circa 850 metri sul livello del mare. Per sua stessa collocazione naturale e conformazione geologica è un sito difficilmente raggiungibile ma gode di una vista panoramica straordinaria sia verso i rilievi interni sia verso la piana campana.

Le prime notizie sul luogo di culto risalgono proprio all’episodio che vide la presenza di Sant’Anselmo. Infatti D. Caiazza ha correttamente ricostruito e restituito il soggiorno isolato e solitario del santo nel 1098 in questo luogo piuttosto che nella grande abbazia benedettina omonima di Telese, sulla scorta delle descrizione inequivocabile riportata nella “Vita Anselmi” di Eadmero di Canterbury, discepolo e primo biografo del celebre arcivescovo.

Come ricorda Ughelli (v. 6, c. 478), il 27 febbraio 1301 papa Bonifacio VIII attribuì la cura spirituale del “coenobio S. Salvatoris montis Caperani ordo Sancti Benedicti” alla mensa vescovile, mentre era vescovo Enrico. Ciò potrebbe essere un rilevante indizio che la comunità benedettina probabilmente era in contrazione o in crisi e che non dipendeva più da Telese.

Ma forse non ci fu l’abbandono della funzione monasteriale propria perché la notizia delle Rationes Decimarum attesta nel 1308-1310 il monasterium S. Salvatoris de montecaprario. Come riportato nell’edizione del 1722 di Ughelli (v. 10, c. 239), il 3 luglio 1310 fu redatto un giudizio a risoluzione di una controversia tra Pietro, vescovo di Calvi, e il conte di Dragoni, Tommaso Marzano, erede di sua madre Rogosia di Dragoni, proprio circa il diritto di patronato sul luogo. Come riportato da Ricca (Osservazioni del barone A. Ricca sull’antica Calvi di D. Mattia Zona, pp. 99 – 100), Marzano sosteneva che il monastero fosse stato eretto della famiglia di sua madre e la famiglia ne esercitava il patronato.  Ma la sentenza confermò il possesso al vescovo, riconoscendo il patronato dei Marzano col diritto di nominare due cappellani scelti tra il clero secolare.

Nel 1583, la chiesa fu annotata nella visita del vescovo di Calvi, mons. Maranta, rilevando che il monastero non era più presidiato e che la chiesa era posta in luogo troppo scomodo affinché la popolazione potesse frequentarla per il culto giornaliero. Per questo, promosse la costruzione nel 1593 della chiesa dell’Annunziata nel borgo di Croce, immediatamente sottostante il monastero, il che probabilmente determinò in breve tempo la fine definitiva dell’uso collettivo della chiesa, salvo l’annuale pellegrinaggio.

Il cenobio si strutturò come monastero-fortezza: nonostante la posizione naturale già praticamente imprendibile, un muro di cinta chiude la sommità del picco roccioso. Il monastero era costituito da un unico edificio a pianta rettangolare, per quanto ne sappiamo oggi.

L’ambiente parzialmente ipogeo allora come oggi era destinato a chiesa. La stretta facciata della chiesa è segnata da una cornice marcapiano toroidale propria del linguaggio architettonico della metà del 1400, forse indizio di una ricostruzione del complesso successiva al grande terremoto del 1456. Anche il portale ha la caratteristica ghiera toroidale a pieno sesto, realizzata in tufo grigio come consueto per quegli anni. Il dislivello tra la corte esterna e il piano di calpestio interno della chiesa si supera con una piccola scala. Ai piedi della scala è una botola che dà accesso all’ambiente ipogeo. La navata è unica, divisa in quattro campate e coperta a crociera con volte archiacute, poggianti su pilastri appena sporgenti dalla muratura, ma visibili per la semplice e sottile cornice di separazione. La navata è illuminata da due piccole finestre rettangolari poste sulla parete sinistra della seconda e della terza campata.

L’altare ospita la nicchia rivestita in marmo, con la statua del Salvatore, tutti interventi recenti (1945-1950). Dietro l’altare è un sedile in pietra, poggiato alla parete perimetrale curvilinea che sembra pertinente all’abside originaria di probabile età normanna. Un piccolo campanile a vela è posto dal lato opposto dell’ingresso della chiesa.

Come ha ragionevolmente suggerito D. Caiazza, l’ambiente al di sotto della chiesa era destinato a magazzino. Il terzo livello (oggi solo parzialmente conservato) forse ospitava il dormitorio.

 

Poco più in basso è una grotta carsica, con resti di formazioni stalattitiche, dedicata al culto dell’arcangelo Michele, come accade in molti altri contesti simili del Matese, del monte Maggiore e dei monti di Avella. Probabilmente il luogo fu dedicato al culto micaelico in età longobarda. Le poche tracce di affreschi ancora presenti sembrano potersi riferire ad un orizzonte culturale tra 1000 e 1100. Nel 1833 Penna (p. 344) attestò il pellegrinaggio annuale alla grotta il giorno della memoria liturgica dell’apparizione dell’Arcangelo sul Gargano (8 maggio), significativo indizio dell’antichità del luogo culto e della tradizione.

Testo e fotografie: Pietro Di Lorenzo (settembre 2020)