Il castello di Gioia (Joe, Joa, Joha nei documenti medievali) sorge a circa 360 m s.l.m. in prossimità di un tracciato che, sin dall’antichità fu cruciale per andare da Bari (e dal suo porto sull’Adriatico) al più grande porto sul mar Ionio, Taranto. La nascita dell’insediamento attuale di Gioia e del suo castello non sono direttamente connessi con l’abbandono dell’abitato di monte Sannace (Thuriae), il centro abitato peuceuzio, già in decadenza dal 3° sec. a. C., per nulla frequentato in età romana e sul quale la chiesa di Sant’Angelo nota per un primo documento del 1087 e per pochi resti archeologici sembra non riuscì a rivitalizzare un centro abitato, finendo presto abbandonata (anche se i suoi ruderi erano visibili nei pressi di una torre ancora nel 1614, secondo la descrizione del consigliere Golino).
Per Celiberti il “castellum montis Ioviae” è da ubicarsi proprio nel sito attuale. Gli studi di Donvito e i ritrovamenti archeologici consentono di indagare le fasi più antiche del castello. Grazie alla individuazione e alla classificazione dei paramenti murari (a seconda della forma, delle dimensioni, della tipologia e della posa in opera dei blocchi) Donvito riconobbe una fase certamente pre-normanna, probabilmente tardobizantina (forse 10° – 11° secolo) e che potrebbe confermare l’ipotesi di Celiberti. Il primitivo castello bizantino è da individuare nell’ala nord: ebbe pianta a L (con il braccio piccolo verso est) e una piccola corte chiusa sugli altri lati da un semplice muro, privo di ambienti.
Le prime notizie del feudo di Gioia sono relative al possesso di Riccardo Hauteville, che fu figlio di Drogone (secondo duca di Puglia dal 1046) e di Altruda (figlia del principe di Salerno Guaimario V). Egli detenne Gioia forse dal 1090, visto che già nel 1111 donò il suo castello “Joi” all’abbazia di San Nicola di Bari, ma probabilmente il possesso ecclesiastico durò poco visto che nel 1136 Gioia risulta legata ad un nuovo signore, forse insediato dopo la conquista di re Ruggero II di Sicilia. Il Catalogus Baronum fu compilato tra il 1155 e il 1167 e attestò la disponibilità di presidi militari (uomini, non necessariamente fortezze o castelli) del Regno. In esso appaiono due citazioni di “Johe”, una con un sol milite, l’altra con una vera e propria guarnigione. Ciò induce a ipotizzare che nel corso del decennio, probabilmente il sito fu presidiato e fortificato.
A quest’epoca potrebbe risalire la fase normanna individuata da Donvito, anche in virtù del fatto che, poco dopo Gioia, passò agli arcivescovi di Bari. Il castello normanno realizzò la chiusura dell’attuale recinto con ambienti coperti, definì i paramenti delle facciate (almeno per un’altezza di 4,5 m) e realizzò la torre cosiddetta “de’ Rossi” (angolo sud-ovest, a sinistra dell’ingresso attuale) che, forse inizialmente isolata, fu connessa al precedente impianto bizantino. La torre fu poi ingrossata da un corpo di fabbrica verso nord per ospitare la scala. La cisterna al di sotto dell’attuale dell’ala est (quella opposta all’ingresso) dovrebbe essere databile a questi lavori normanni. La prima vera citazione del castello fu nella donazione del 1180 che attestò l’esistenza di un edificio murato e forse già interamente compiuto.
La fase muraria sveva, individuata da Donvito come di età federiciana, non è nota direttamente da documenti come di committenza imperiale ma è da tutti gli studiosi riconosciuta tale. Infatti, la tradizione storica almeno dalla fine del secolo 17° attribuisce la committenza del castello a Federico II Hohenstafen, forse perché nello Statuto de reparatione castrorum (1236 – 1241) il castello di Gioia appare tra i possessi diretti dell’imperatore, che però lasciò il casale agli arcivescovi baresi.
I restauri di De Vita dal 1969 riportarono il castello sostanzialmente alla prima metà del 1200. Forse dopo il rientro di Federico II dalla crociata, fu eretta la torre cosiddetta “dell’imperatrice” in cui alcuni riconoscono influssi tedeschi altri orientali. La torre, a pianta quadrata, si innesta nelle mura sud – est e da esse sporge maggiormente, rispetto alla torre normanna. Il monumentale ingresso aperto sull’ala ovest ha nell’atrio voltato una coppia di capitelli, originali, che testimoniano la cura che fu posta (come per altri castelli federiciani) per trasformare la fortezza normanna così da dotarla delle comodità e della gradevolezza di un palazzo residenziale, senza diminuirne il ruolo difensivo. La facciata sud conserva la porta secondaria inserita in un contesto murario quasi del tutto originario dell’età sveva.
La corte interna fu radicalmente modificata dai restauri ricostruttivi di Pantaleo del 1908-1909 che intervennero rifacendo ex novo le finestre (bifore e trifore), le decorazioni e la scala della corte e il trono e il camino della sala grande. All’ originario impianto svevo mancano altre due torri angolari, non sporgenti dalla pianta (come suppone Donvito) ma incardinate nel corpo bizantino dell’ala nord, certamente viste e descritte nelle relazioni di apprezzo feudale dal 1611 al 1653, ancora esistenti almeno per un secolo e forse crollate (parzialmente o del tutto) una col sisma del 1786 l’altra nel 1929.
testo e immagini: Pietro Di Lorenzo [luglio 2021]