L’origine della devozione a Maria sul Monte Taburno in questo luogo in prossimità di Bucciano per tradizione orale si fa risalire a ritrovamento di una immagine della Madonna. La narrazione e gli eventi miracolosi risulta simile a quella di tanti altri luoghi mariani e, per come la conosciamo oggi, sembra esito di un rimaneggiamento realizzato in età controriformistica cinque-secentesca. Ugualmente uniformati ad uno schema narrativo proprio dell’agiografia seicentesca sono i miracoli legati alla fondazione del luogo nel sito attuale (dopo un primo tentativo fallito altrove), gli insuccessi nel traslare l’immagine, lo sgorgare dell’acqua sorgente etc.
Secondo il racconto, una pastorella sordomuta il 7 febbraio 1401 trovò l’immagine della Vergine in una grotta e ne fu miracolata. Incongruenti cronologicamente risultano la data del 1401 e la presenza di Carlo Carafa come conte di Airola e fondatore della prima cappella. Infatti, Airola fu di Alfonso fino al 1460 quando ne fu privato per ribellione di Airola e di tutti gli altri feudi. Carlo Carafa, fratello del celebre e potentissimo cardinale Oliviero, divenne conte di Airola solo dal 23 novembre 1460. Inoltre Carlo Carafa senior, fratello di Francesco, padre del nostro primo conte, e il loro padre Antonio (detto Malizia) non risultano intestatari di feudi, meno che mai in valle Caudina nel 1401.
Documentati e quindi certi sono la fondazione del convento nel 1494 e il suo affidamento ai Domenicani dal 1498, volute da Carlo Carafa, primo conte di Airola. Gregorio XIII nel 1584 concesse il privilegio per l’altare di Santa Maria della Sanità. Nel 1743 i Domenicani deliberano il trasferimento ad Airola del Convento: secondo l’atto di fondazione e assegnazione con Carlo Carafa, il convento sarebbe così passato alla provincia romana dell’Ordine.
Ciò non accadde, il luogo fu progressivamente abbandonato e le proteste a Carlo di Borbone e a suo figlio Ferdinando IV ancora nel 1779 ottennero solo il mantenimento di un custode laico e la celebrazione della messa quotidiana. Probabilmente definitivamente abbandonati con la soppressione del 1807, il santuario e il convento decaddero tanto che già dal 1890-1892 furono effettuati i primi importanti restauri.
La grotta calcarea dell’apparizione è a nord-ovest della chiesa e reca tracce di un affresco di età imprecisabile.
La cappella originaria è tradizionalmente riconosciuta nei ruderi retrostanti il monastero, verso est. Mostra una pianta rettangolare a due campate. Le tracce delle volte ogivali tardogotiche a crociera sembrano ragionevolmente orientarne la costruzione verso il 1460, probabilmente dopo il disastroso terremoto matesino del 1456 e in opportuno sincronismo con la necessità di Carlo Carafa di dotare il feudo di un luogo di devozione e pellegrinaggio, forse accogliendo una devozione precedente o fondata ex novo per similitudine con altri luoghi vicini (si ricordi che madonne lignee duecentesche e trecentesche sono venerate a Frasso Telesino e Vitulano).
Le strutture architettoniche e decorative attualmente visibili sono del tutto coerenti con gli anni intorno al 1494. La chiesa si eleva sul piazzale grazie ad una gradonata in calcare. La chiesa è preceduta da un portico a tre arcate visibilmente diseguali, con quella maggiore al centro. Gli archi poggiano su pilastri quadrati dagli spigoli tagliati e recano cornici a ghiera in tufo. Sulla facciata, nei rinfianchi degli archi, campeggiano gli stemmi dei Carafa, in pietra calcarea. Un altro stemma è al di sopra della chiave di volta dell’arco centrale, in una cornice circolare in pietra, di cui si intravvedono i resti. La balaustra che chiude il portico reca la data “aprilis 1596”.
Il portico reca diverse pareti affrescate a finto bugnato colorato con tondi contenenti scene figurate. Sulla parete destra, al di sopra del portale che da accesso alla sala dei ricordi, è una scena affrescata in cui una donna (riccamente abbigliata alla moda dei primi del 1500) indica l’apparizione tra le nubi della Vergine col Bambino in una nuvola ad un anziano uomo inginocchiato ai suoi piedi. L’uomo ha barba e capelli bianchi, veste una tunica rossa coperta da un mantello dorato; un copricapo rosso è ai suoi piedi. Si potrebbe supporre possa trattarsi del cardinale Oliviero Carafa, zio di Carlo e protettore dell’Ordine domenicano dal 1478. Sulla parete di fronte, al di sopra del portale rettangolare in pietra che dà accesso al planetario, si trovano tracce dell’affresco a finto bugnato e un oculo dipinto non più leggibile.
Sulla facciata di fronte all’accesso si aprono tre portali: quello a sinistra conduce all’esterno e in breve alla grotta dell’apparizione. E’ sovrastato da un grande stemma più volte inquartato e partito, dalla difficoltosa lettura araldica. Nel quarto superiore sinistro è il quartiere con i blasoni dei Carafa e dei Leonessa; in quello a fianco sono quelli dei D’Avalos e dei del Balzo, e forse dei D’Aquino e dei Caracciolo. Se l’analisi dello stemma fosse corretta gli affreschi potrebbero esser stati commissionati da uno dei figli di Giovan Vincenzo Carafa: Carlo, Ferdinando, Beatrice e Giulia. Gli indizi maggiori puntano proprio su quest’ultima e ciò li daterebbe forse tra il 1575 e il 1580.
Il portale centrale dà accesso alla chiesa; è lunettato e inquadrato da una mostra in pietra calcarea, tagliata in basso (come nello stile dell’epoca). La lunetta reca un affresco con Madonna col Bambino e santi domenicani (forse san Domenico a sinistra e san Tommaso d’Aquino a destra) col committente (Carlo Carafa?), probabilmente databile nei primi due decenni del 1500. Una grottesca ricopre tutta la superficie interna della lunetta. Un portale simile dà accesso al convento ma reca nell’architrave lo scudo araldico dei Carafa, con tracce di policromia. La lunetta è anch’essa affrescata con un santo frate in preghiera (dal colore dell’abito sembrerebbe un francescano).
L’interno è a navata unica, su due campate, con volte a crociera e ripropone lo schema della presunta cappella originaria. Ampie finestre rettangolare arcate a tutto sesto si aprono al centro di ciascuna delle quattro lunette delle volte. Al di sotto dell’imposta delle crociere corre un cornicione classicheggiante probabilmente primo-secentesco in stucco con decorazioni a ovuli, dentelli. Il cornicione su realizzato certamente in età successiva al grande affresco che ne risulta tagliato.
Il presbiterio è quadrato, a due campate e voltato a botte ma molto più basso della navata. Ospita l’altare maggiore ottocentesco. Al di sopra è la nicchia con la statua della Madonna, pesantemente rimaneggiata già nel Settecento e di forme chiaramente rinascimentali.
Sulla lunetta della parete terminale della navata che funge da arco trionfale è dipinto un albero di Jesse con l’aggiunta nella parte inferiore di membri della famiglia domenicana, realizzato tra 1530 – 1560 circa. Altri affreschi sono sulle pareti laterali che ospitano altari: di alcuni restano solo alcune tracce altri sono meglio conservati. Si segnalano sulla parete sinistra la Pietà tra santi (metà 1500) e la Madonna col Rosario con santi domenicani in ricca cornice dipinta con formelle, cimasa e predella con lo stemma simile a quello del portico. Sulla parate destra è la predella con Cristo e gli apostoli (1500 – 1520), e un frammento di(1581, come segnala la data).
L’acquasantiera in breccia rossa è posta a sinistra dell’ingresso.
Capolavoro assoluto di artigianato tardoquattrocentesco è il pavimento in cotto bicromo. Non sembra mostrare tracce residue di verniciatura, a differenza di altri, precedenti e coevi, di ambito campano (cappella Caetani nella cattedrale di Capua, Santo Stefano a Galluccio, San Giovanni a Carbonara a Napoli). Il disegno principale è basato su ottagoni al centro dei quali è un fiore a quattro petali. Gli ottagoni sono separati da quadrati decorati a fasce. Al centro del pavimento è un grande riquadro incorniciato contenente lo stemma dei Carafa, sempre in cotto.
La vicina lapide tombale è in calcare e reca sempre lo stemma dei Carafa come le altre due presenti verso la parete destra e all’inizio della navata.
Il campanile ha le forme proprie della fine del 1400 e sorge alla sinistra della chiesa. Ha quattro livelli (si suppone la presenza di una ulteriore cella campanaria superiore, visibile in tracce in una fotografia di inizio 1900, eliminata in un restauro), il primo scarpato e separato dal soprastante da un redondone anch’esso tipicamente quattrocentesco. Il secondo livello è accessibile dal portico: mostra volta a botte con asse N-S.
testo e fotografie: Pietro Di Lorenzo [settembre 2021]