Santa Maria Capua Vetere (CE) – Chiesa di Maria SS. Assunta e San Simmaco (Duomo

La chiesa di Maria Assunta e San Simmaco di Santa Maria Capua Vetere è certamente uno dei luoghi di culto cristiano più antichi della Campania e si ritiene che sia tra le più antiche chiese dedicate alla Vergine in tutta la Cristianità. L’attuale città (casale di Capua fino al 1806) fino al 1862 portò il nome di Santa Maria Maggiore, mutuato proprio dal titolo della chiesa.

La chiesa sorse in un luogo centrale della città antica, sicuramente interno alle mura: ad oggi oscura resta la destinazione d’uso degli edifici che insistevano sullo stesso sito. Tradizionalmente si fa risalire la fondazione al vescovo (poi santo e patrono) Simmaco che avrebbe scelto la titolazione alla Madre di Dio dopo il Concilio di Efeso del 420 d. C. Proprio a Capua (antica) nel 391-392 si tenne un concilio che proclamò Maria “sempre vergine”. Bova ha suggerito che il concilio si tenne in una aula che sorgeva nello stesso luogo dell’attuale chiesa. L’iscrizione del mosaico absidale ricordava la fondazione di San Simmaco; l’opera, citata per la prima volta da Monaco nel 1630, fu distrutta poco prima nel 1743.

G. P. Pasquale (che riportò una affermazione di F. Vecchioni) e tutti gli storici successivi tramandarono la notizia che la chiesa sorse su una catacomba cristiana, che ospitò le tombe di San Prisco (discepolo diretto di San Pietro) e poi di San Simmaco. L’esplorazione ipogea più volte tentata sin dal 1721 e ancora di recente non ha restituito evidenze archeologiche all’ipotesi. Altre reliquie deposte dal vescovo San Germano nel 6° secolo furono ritrovate nell’area dell’altare maggiore nel 1729. Quali fossero forme, dimensioni e decorazioni della chiesa originaria non lo sappiamo. Secondo molti fu ad unica navata, soluzione spaziale certamente molto inusuale se non unica per le chiese tardo-antiche di medie e grandi dimensioni. Più probabilmente ebbe le consuete tre navate. Secondo alcuni, l’articolazione nelle cinque navate attuali risale all’azione di Arechi II, poco dopo il 787, come ringraziamento alla Vergine per la pace stipulata con Carlo Magno proprio in questo luogo. Secondo altri fu definita solo nel secolo 1500.

La chiesa restò concattedrale anche dopo il trasferimento della sede vescovile nella Capua attuale, dopo l’841. A causa delle lotte intestine alla dinastia longobarda di Capua, la chiesa fu sede vescovile indipendente per pochi anni fino all’879. Una lapide perduta ricordava lavori realizzati dal maestro Leone forse poco prima dell’anno 1000. Nel medioevo le pareti della chiesa furono affrescate con storie dell’Antico e Nuovo Testamento, scomparsi nel 1611 in occasione di piccoli interventi di modifica voluti per volontà dell’arcivescovo Bellarmino.

L’attuale aspetto settecentesco fu realizzato grazie ai restauri promossi dal 1742 ed il 1786 prima sotto la direzione dell’ingegnere Ignazio di Blasio poi, dal 1749, da Luca Vecchioni, noto architetto e ingegnere napoletano, molto attivo nella capitale e in Terra di Lavoro (Aversa, Nola, Ottaviano) dal 1729. Fu distrutto l’atrio antistante la chiesa e rifatti gli stucchi e le decorazioni. La facciata è del 1796 e collega architettonicamente la chiesa al campanile che fu ricostruito nel 1872.

L’interno è davvero sorprendente per vastità e per le prospettive insolite che le cinque navate restituiscono. Tutte le navate sono voltate e stuccate. Le 51 colonne attuali sono di spoglio ed hanno capitelli antichi; certamente provengono da molti edifici diversi. Tra le tante memorie storiche e le opere d’arte più antiche si segnalano le più notevoli. Eccezionali sono i resti di mosaici pavimentali del 6° secolo (ritrovati verso il 1876 nei lavori di rifacimento della piazza), ritenuti pertinenti al battistero paleocristiano. Unico per il Meridione continentale è lo splendido tabernacolo marmoreo, forse realizzato intorno al 1530 per l’altare maggiore della Cattedrale di Capua, in questa chiesa del 1745 circa, opera di un artista ancora anonimo (attribuzioni dibattute tra Cesare Quaranta, Andrea Ferrucci, bottega di Romolo Balsimelli, ambito siciliano vicino a Bartolomeo Massa); cappella di Santa Maria Suricorum, buona realizzazione architettonica  a pianta centrale bella cupola con elementi in tufo grigio realizzata dal 1620, decorata da marmi policromi e dipinti coevi; la memoria della leggenda del principe lebbroso Enrico e dei topi guaritori, del 1615.

Le opere d’arte settecentesche più rilevanti sono la tela dell’altare maggiore, con l’Assunta (G. Diano, 1770), l’altare maggiore (1765, rimontato nel 1777), il coro (1786) e le cantorie lignee. Sempre settecentesche sono le cappelle sedi delle tre confraternite. La cappella della Morte fu costruita dal 1629 e dal 1754 divenne sede dell’omonima confraternita: ha pavimento maiolicato, altare e organo coevi e tela “Deposizione di Cristo” di F. De Mura, del 1757. Interessanti sono anche le decorazioni in stucco del vestibolo e della vicina cappella di San Giuseppe, del 1777. La confraternita del Conforto fu fondata nel 1768 ed ebbe sede nella cappella di San Francesco, o delle Stimmate che ha decori e tele settecentesche (alcune precedenti l’erezione della confraternita). La confraternita del Corpo di Cristo (del 1755) è affiancata da un ambiente a voltato a crociera su pilatri in tufo, probabilmente dell’inizio del 1400, con grottesche affrescate probabilmente seicentesche.

Testo e immagini: Pietro Di Lorenzo [settembre 2020]