Sant’Angelo in Formis (CE) – Basilica Benedettina

Quasi perfettamente sovrapposta alle strutture dell’antico tempio di Diana, è uno dei capolavori fioriti nel travagliato trapasso tra il dominio longobardo e normanno nel Principato di Capua, ricchissimo di prodotti culturali di altissimo livello. Il tempo di Diana, documentato fin dal VI a.C., è ancor oggi testimoniato dall’imponente podio calcareo di età repubblicana, dalle colonne e dai capitelli e dai resti del pavimento musivo tassellato (con parte dell’iscrizione datata al 74 a.C.). Si ipotizza che già del IV sec. d.C. il tempio accolse il culto cristiano, ricevendo poi il tradizionale titolo di Michele Arcangelo, patrono della nazione longobarda (VI sec.). Nel 952 Pietro, vescovo di Capua, lo concesse ai Cassinesi ma negli anni successivi il luogo fu conteso tra la curia capuana e i benedettini. Ottenutolo in permuta nel 1065 da Ildebrando, arcivescovo di Capua, Riccardo I Drengot, conte di Aversa e principe di Capua, nel 1072 lo donò a Desiderio, abate di Montecassino. Proprio il futuro papa Vittore III fu il promotore dello straordinario progetto architettonico e decorativo, posto ad emblema del rinascimento culturale e politico di Montecassino, motore ideale della cultura occidentale. Nel 1417 il convento divenne prima prepositura poi commenda dei Carafa. Di patronatorio regio nel 1799, passò al Demanio nel 1866. La facciata mostra nel portico, su colonne e capitelli antichi, a 5 fornici, di cui i laterali archiacuti, le tracce di un probabile restauro, forse del sec. XII, coevo alla costruzione dell’attuale poderoso campanile, divenuto il prototipo per tutta la Terra di Lavoro. Dal portale a doppia ghiera, si accede all’interno, basilicale, a tre navate, su colonne e capitelli antichi (tranne quelli dell’arco del presbiterio), è ancora in gran parte ricoperto di straordinari affreschi, probabilmente realizzati in meno di un decennio dal 1072, forse su committenza di notabili amalfitani ma seguendo un complesso ma efficace progetto iconografico riferito direttamente all’abate Desiderio, cui si attribuisce anche la scelta delle maestranze. Al Cristo Pantocratore tra i simboli isidoriani degli su colonne e capitelli antichi Evangelisti, che sovrastano i tre Arcangeli Gabriele, Michele e Raffaele, tra Desiderio (raffigurato col nimbo quadrato in atto di offrire la chiesa stessa) e S. Benedetto. Le navate laterali, quasi completamente perdute, sviluppano temi dell’Antico Testamento, dalla cacciata di Adamo ed Eva ai patriarchi predecessori di Cristo. La navata centrale narra il Nuovo Testamento, dall’editto di Erode all’Ascensione, in un percorso che prevede per registri orizzontali, dall’alto verso il basso, dalla sinistra dell’abside centrale verso la controfacciata (ma la prima parte è perduta) che ospita uno dei primissimi esempi di Giudizio Finale. Notevoli sono il pulpito e i resti del cero pasquale (sec. XIII), il resti di pavimento in opus sectile.

Testo: Pietro Di Lorenzo