Piedimonte Matese (CE) – Cappella di S. Biagio

La erezione della cappella di S. Biagio, pare a cura della famiglia Jacobucci, avvenne alla fine del ‘300, quando Piedimonte era feudo di Giacomo Caetani (conte dal 1383). La semplice facciata è aperta da un piccolo portale architravato con mensole, sovrastato da una lunetta archiacuta e, più in alto, da un oculo. L’interno è ad unica navata, divisa in due campate quasi quadrate, coperte con volte a crociera. Divenuta oratorio per forestieri e pellegrini in transito, passò prima alla famiglia Meola, poi ai Cenci, infine alla Curia Vescovile di Caiazzo, ottenendo, nel 1926, il riconoscimento di ”monumento nazionale”.

L’interno è sorprendente per la grande bellezza delle opere, datate entro il primo decennio del 1400, con una intervallo di oscillazione di pochi anni. L’anonimo pittore noto come “Maestro delle storie di S. Biagio” fu a conoscenza degli esiti della pittura campana precedente. Egli esportò nel Regno, per la prima volta, la più dolce vena della pittura valenzana temperandola con i modi furenti e aspri che la lontana provincia abruzzese aveva espresso e continuava a produrre in stretta connessione con le scuole marchigiane dei Salimbene, di San Severino Marche, e dei maestri di Camerino (gli esempi più eclatanti sono oggi a Loreto Aprutino). Le superfici della cappella sono quasi completamente ricoperte di affreschi imperniati su due cicli. Il primo esemplifica la storia e i miracoli di S. Biagio, vescovo e martire, morto nel 316. Probabilmente egli fu medico a Sebaste, in Armenia, ed operò, tra i tanti miracoli, il salvataggio di un bambino che stava soffocando per un lisca di pesce ingoiata (di qui la tradizionale benedizione della gola, inserita nel messale Romano). I riquadri con le vicende agiografiche, le più danneggiate, svelano inconsueti momenti di verità e di realismo nello scorrere del racconto. L’altro ciclo è tipicamente cristologico: citando episodi del Genesi (creazione di Eva, Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso etc.), rafforzati dalle testimonianze delle sentenze di profeti e sibille (in oculi), esso giustifica la venuta salvifica di Gesù sulla Terra. Le scene seguono assai strettamente i Vangeli apocrifi dell’Infanzia più che i Vangeli canonici, dimostrando, anche qui, la passione per il fabuleux, per il miracoloso tipico della letteratura del gotico cortese. Nelle volte della prima campata gli Evangelisti e i Dottori della Chiesa sembrano indottrinare il fedele appena entrato. La meravigliosa unità del ciclo è fondata sui i caldi colori pastello delle figure, avvolte da rigogliose decorazioni di tralci e di vegetazioni che improvvisamente fioriscono in arabeschi geometrici e in medaglioni contenenti bellissimi ritratti, probabilmente alcuni da identificare con i committenti.

Testo: Pietro Di Lorenzo