Capua (CE) – Castello di Carlo V

La sorte di Capua come città fortificata e militare per antonomasia del Regno meridionale è da far scaturire dalla scelta deliberata di Pandolfo I che nel 853 trasferì da Sicopoli (sita sul colle sovrastante l’attuale Triflisco) la Capua antica plurisecolare. E così, fin dalla fondazione munita di mura, la città conobbe, in ogni epoca, ammodernamenti, rafforzamenti, allargamenti del perimetro murario. Gli esempi più rilevanti delle fasi medievali sono senza dubbio il Castrum Lapidum normanno e le torri federiciane. Della prima fase aragonese, intervenuta a risanare i danni prodotti dal sisma del 1456, non resta traccia né si sa molto del secondo intervento suggerito da Guidobaldo da Montefeltro e probabilmente realizzato da Francesco di Giorgio Martini. Infatti dei lavori aragonesi nulla restò dopo l’allargamento della cinta e la costruzione dei bastioni, opere necessari in quanto le vecchie mura erano assolutamente inadatte a reggere il tiro delle nuove armi da fuoco, che avevano rivoluzionato l’arte della guerra. Si cercò in un primo momento di correre ai ripari modificando la murazione della generazione precedente: i muri di cinta furono rinforzati con terrapieni, si crearono delle trincee basse per consentire il tiro dall’interno della murazione. Erano tutte soluzioni insoddisfacenti a confronto della nuova invenzione dell’architettura militare, la cinta bastionata in cui il bastione, elemento fortemente sporgente dalla cortina muraria notevolmente meno elevata e più spessa di quelle dell’età precedente, era l’elemento principale di offesa (tiro avanzato sul nemico) e di difesa (protezione fiancheggiante per difendere le cortine). In una prima fase (1515-41) ci si accontentò di apportare delle modifiche parziali: il progetto fu a cura di Antonello da Trani (realizzatore di lavori ad Otranto, Gaeta, Crotone e Manfredonia) ma benché già proposto e approvato, nel 1520 i lavori erano ancora allo stadio iniziale dello scavo dei fossati. Il progetto prevedeva dei bastioni tra porta S. Angelo e porta S. Eligio circondati da fossati (circa 1,8 Km). Un progetto alternativo prevedeva un perimetro minore. Un progetto concorrente del marchese Gian Vincenzo Carafa fu parimenti esaminato. Fatto fu che nessuno dei tre fu attuato, se non per effettuare (ante 1532) lavori particolari presso porta Napoli. Nel 1535 fu il viceré Pedro di Toledo in persona ad ispezionare la fortificazioni e a ritenerle insufficienti. Nel marzo del 1536 era il sovrano stesso Carlo V (presente a Capua) a constatare l’urgenza dei lavori. In quell’anno eseguirono lavori generali il capuano Cesare Falco e lo spagnolo Berardino Cervellone (costruzione dei torrioni di S. Angelo e S. Eligio). Nel 1536 venivano trovati i finanziamenti annui per intraprendere un’opera più generale tassando pane, grano, farina, vino, canapa e lino con un gettito annuo di 3000 ducati da parte dei casali capuani.

La seconda fase (1542-52) di fortificazione della città fu quella del rinnovamento totale. Fu affidata a Gian Giacomo D’Acaja progettista delle più famose fortezze del regno, con la direzione dei lavori di Ambrogio Attendolo. Il D’Acaja, più volte a Capua dal 1543 per studiare e redigere il progetto, incaricò l’Attendolo dei disegni. Essi realizzarono una cinta bastionata a 3 punte (S. Angelo, Porta Napoli, bastione Castello), con bastione a tenaglia isolato a S. Caterina, il tutto incentrato sul Castello di Carlo V. Quest’ultimo (ispirato alle teorie del Sangallo, come quasi tutta l’opera del D’Acaja) è a pianta quadrata, con corte anch’essa quadrata, e bastioni romboidali lanceolati nei quattro angoli (ciascuno con orecchioni) ed un quartiere sopraelevato (probabilmente settecentesco ) destinato al Comandante della Fortezza. L’opera è ancora più toscaneggiante nel risultato in quanto vi lavorarono maestranze appositamente richieste ai Medici, Granduchi di Toscana. Una terza fase di lavori (1552-89) si rese necessaria dopo la decisione del viceré di potenziare il controllo sociale e militare sulle città. C’erano state delle insurrezioni popolari (contro il tentativo di introdurre l’Inquisizione) e le fortezze erano risultate insicure. La cinta del D’Acaja appena compiuta sembrava già antiquata. Pedro di Toledo incaricò dei lavori lo spagnolo Ferdinando Manlio (già attivo per le mura napoletane). Furono modificati i bastioni e si creò, abbattendo le torri federiciane, il bastione cavaliere a Borgo Casilino. Esecutore dei lavori fu ancora l’Attendolo (morto nel 1585) cui successe Benvenuto Tortelli. L’ultima fase dei lavori (1586-95) fu ordinata dal viceré conte di Miranda su progetto del Marchese di Grottola e di Carlo di Loffredo. Gli interventi portarono la cinta bastionata da 3 a 5 fronti realizzando, tra i primi due già esistenti, i bastioni Conte ed Olivares. Su questa cinta si inserirono le opere settecentesche tutt’ora visibili.

Testo: Pietro Di Lorenzo