Venafro (IS) – Castello Pandone

Le prime notizie ad oggi note di Venafro come “castrum” risalgono a Erchemperto: lo citò raccontando l’assalto di Saugdàn che prese Venafro nell’880. “Castrum” però va inteso come luogo abitato presidiato da militi, piuttosto che fortificato o addirittura sede di un castello vero e proprio. Come racconta la Cronaca della vicina abbazia di San Vincenzo al Volturno, nel 939 Venafro fu citata come centro di un possesso territoriale (che nel 950 fu tenuto da un “signore”) e almeno dal 954 fu sede di gastaldato. Il primo gastaldo noto fu Paldefrit, fondatore di una dinastia (vassalla dei principi di Capua con cui non fu imparentata) che, forse nata già dal 939, proseguì almeno fino al 1086. Paldefrit fu gastaldo-conte, ma resta dubbio se il suo ruolo fu davvero già feudale o solo amministrativo e fiscale.

In ogni caso, non ci sono prove né documentali né archeologiche dell’esistenza di un primo castello (come luogo fortificato) intorno alla metà del 10° secolo. Tuttavia, si ipotizza che a quell’epoca possa risalire il primo nucleo castellare, riconosciuto nel mastio attuale. Il mastio sorge sulla roccia calcarea, nel punto più alto del cosiddetto colle di Sant’Angelo e domina l’abitato. In prossimità correva la cinta megalitica inferiore della città sannitica.

Il mastio ha pianta quadrangolare, su tre livelli, e le sue spesse mura mostrano un paramento in pietre calcaree non sbozzate e una leggera scarpa di base; sono caratteristiche che inducono a ipotizzare una datazione all’età normanna più che alla tarda età longobarda. Infatti, forse un vero e proprio castello sorse solo con l’annessione di Venafro alla contea di Molise (nel 1101, sotto la famiglia de Molisio, conti di Boiano e dal 1166 sotto Riccardo di Mandra).

I brevi possessi feudali della tarda età normanna e dell’età sveva (in cui Venafro fu sotto i Berardi, conti di Celano) non lasciano supporre importanti evoluzioni nella struttura dell’edificio. Il castello non compare tra quelli che nel 1230/1231 l’imperatore Federico II avocò al diretto possesso regio (Statuto de reparatione castrorum), il che però non esclude l’esistenza di un vero castello o la sua minore importanza. In età angioina, dopo un primo affidamento ai Della Torre, Venafro rimase città demaniale. E dal 1270 abbiamo certezza dell’esistenza del castello che, come noto dalla Cancelleria Angioina, fu affidato a custodi (consergi) e castellani di nomina reale almeno dal 1270 al 1279. La cappella del castello che Morra ricorda (e che ad oggi non è identificata) potrebbe esser stata dedicata a San Nicola, sulla scorta del documento dato da re Carlo I del 1270 in cui una “cappelle Sancti Nicolai de Curia” di Venafro risulta di appartenenza reale. Nel 1286, re Carlo II investì Luca Savelli della contea di Venafro, forse in virtù dei servizi diplomatici resi a Carlo I dallo zio del neo conte, papa Onorio IV quando era ancora cardinale. Dai Savelli passò a Giovanni Jeanville nel 1290.

Qualunque furono dimensioni e tipologia delle strutture più antiche, il terremoto di Isernia del 22/01/1349 potrebbe averne indotto il loro crollo o danneggiamento grave e imposto il rinnovamento del castello nelle forme tipiche dell’età angioina. E’ proprio questa fase che si può far risalire la struttura attuale del castello: pianta quadrata con corte interna quadrangolare e tre torri cilindriche agli angoli (il quarto angolo è incardinato sul mastio certamente preesistente).

Il complesso difensivo della città e del territorio si definì ampliando la cinta muraria, realizzando (tra le altre) la Torre del mercato, a valle. In alto, alle pendici del monte Santa Croce, certamente preesisteva all’attuale castello la cosiddetta “torricella”, isolata su un masso calcareo, dalla struttura più probabilmente normanno-sveva che angioina. La “torricella scarrupata” fu citata da Cotugno nel 1824; è collocata al di sopra della chiesa di Montevergine e completava la guardia alla valle e al castello, dal lato opposto rispetto alla torricella.

Il feudo e il castello furono assegnati da re Alfonso I Trastamara a Francesco Pandone, discendente di una famiglia longobarda capuana, nota per incarichi amministrativi reali e per piccoli possessi feudali dagli inizi del regno angioino. La presa di possesso feudale dei Pandone, dal 1443, e soprattutto il grande terremoto del 1456 comportarono un importante aggiornamento delle difese del castello realizzando il redondone (il cordolo toroidale che è visibile alla base della sezione cilindrica delle torri e delle facciate), archibugiere, saettiere e balestriere (visibili al di sopra del redondone nella torre di nord-ovest) e l’imponente antemurale (barbacane), probabilmente ispirato a quello del Castel Nuovo di Napoli. La grande muraglia definisce il fossato e fortifica il castello anteponendo un massiccio volume scarpato (troncoconico in corrispondenza delle torri angioine), addossato al castello sul quale furono realizzati gli spaziosi spalti e i grandi merli rettangolari (indispensabili a muovere le nascenti artiglierie) e anche il camminamento coperto a guardia del ponte levatoio (oggi sostituito dal ponte in muratura su archi). Già dalla fine del 1400, il castello fu trasformato in una comoda dimora signorile assumendo nei secoli l’aspetto di un palazzo nobiliare.

testo e immagini: Pietro Di Lorenzo [luglio 2021]